Letteralmente significa “danza di neri”.
È una parola che può avere tre accezioni:
1) l'insieme dei riti
animistici afrobrasiliani (praticati
soprattutto in Brasile) dedicati agli orixàs,
2) il nome della cerimonia religiosa in cui tali riti sono celebrati (una sorta di messa pagana
propiziatoria e purificatrice),
3) più genericamente: le
danze e le feste dei neri del sud del Brasile.
Il Candomblè, autentica espressione della cultura africana, si è sviluppato -
e continua ad evolversi anche oggi - in forme
differenti nel Sud, a Recife, a
Porto Alegre, a San
Salvador
e, più diffusamente, in Bahia; il
rituale si svolge in uno spazio riservato, con l'accompagnamento ritmico di agogòs
e atabaques,
in quartieri lontani dal
centro abitato, tutti i giorni
della settimana a seconda dell'orixà celebrando.
Il candomblè ha un significato
religioso antico e
profondo.
All'epoca della schiavitù spesso si registravano tra i neri suicidi individuali e
collettivi, sicuramente comprensibili se si pensa alle loro drammatiche
condizioni di vita; il numero di essi, però, era così elevato da
far pensare anche ad altre cause.
Gli schiavi - ai quali era sovente permesso
di celebrare i propri riti - vivevano nel perenne desiderio di
ricongiungersi alle loro
divinità, gli orixàs
spesso contattati durante i momenti di trance; questi ultimi,
però, non vivevano sulle
montagne, nelle foreste o nelle acque del Brasile ma in Africa, sull' Itu
Aigé, il luogo che i neri asserviti chiamavano "Terra di Vita".
Quando venivano evocati, quindi, gli orixàs arrivavano appositamente dall'altra sponda dell'oceano, attirati dal suono dei
tamburi sacri, dalle danze e dal sangue dei sacrifici; poiché
impersonavano gli spiriti degli antenati, dopo le cerimonie religiose facevano
diretto ritorno in Africa portando con sé
le anime dei suicidi contestuali che, in tal modo, potevano riabbracciare la
terra
d'origine nel modo più rapido.
La
vita non poteva essere concepibile in una terra straniera d'esilio ma, con la
pratica del Candomblè, quei luoghi profani venivano "sacralizzati", cioè resi
degni di rimpiazzare il continente africano perduto; ciò valeva non soltanto durante
la celebrazione delle cerimonie religiose - in cui gli adepti
cercavano di riprodurre con assoluta fedeltà i culti africani d'origine - ma
anche nella vita di tutti i giorni che doveva essere regolata - come il
candomblè, per l'appunto - da norme di comportamento e da una gerarchia sociale ben precise.
Nello stato di Bahia, in particolare, il candomblè
definì, tra i neri, il solo tipo accettabile di organizzazione; essa, ancora oggi,
resiste e si evolve con aggiustamenti e nuove aggregazioni.
Nato in terra d'America, il candomblè si è
delineato e sviluppato in modo differente in seno ai diversi gruppi etnici che
ne hanno accolto e sviluppato il culto, acquisendo altre denominazioni:
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- Vaudou
in Haïti e Santo Domingo,
- Santeria
a Cuba,
- Winti
in Suriname,
- Dugu
in Honduras,
- Shangò
in Trinidad e Tobago.
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Strappate dai luoghi d'origine in maniera brutale
e caotica, molte popolazioni delle coste africane nord occidentali (Mauritania,
Senegal, Gambia,
Guinea, Sierra Leone)(1)
e di altri stati relativamente vicini (Costa d'Avorio,
Ghana,Togo, Benin e Nigeria)(2) furono unite a tribù
sud-equatoriali di regioni lontane e semisconosciute di lingua
bantu (Congo, Angola)(3) e
dell'Africa sud-orientale (Mozambico,
Madagascar, Maurizius).
(1) Bambaras (Mali), Bissagots (Guinea Bissau),
Calvaires (Togo, Benin), Mandinghi (Gambia, Ciad), Peuls (Mauritania,
Camerun), Senegalesi (Senegal), Susus (Guinea), Toucouleurs (Senegal,
Mauritania, Mali e Guinea), Wolofs (Senegal).
(2) Aradas, Agousas, Bourriquis, Cangas, Caplacus, Cotocolis,
Dahomets, Fantins, Fidas, Fons, Haoussas (Haussi), Ibos, Mahis, Minas, Mines, Miserables,
Mokos, Nagôs, Popos, Socos, Thiambas, Yorubàs.
(3) Congolesi, Mousombis (Mousombi), Mondongues (Mondongui), Malibos, Angolani.
Pur tuttavia, le notevoli differenze di lingua, usi e costumi di queste genti non impedirono
il nascere e lo svilupparsi di una forte esigenza metafisica collettiva; nella dimensione del sacro, comunque, tutti gli africani
già appartenevano ad una stessa matrice.
Nel Voodoo (Haïti e Santo Domingo)
si conserva la consuetudine originaria di chiamare "nazioni" i
gradi di gerarchia delle sue divinità ma, nella sua organizzazione, le
popolazioni sono aggregate senza alcuna distinzione.
Nei Candomblès brasiliani, invece, ogni
aggregazione rappresenta un microcosmo e si definisce
appartenente ad un popolo piuttosto che ad un altro; le differenze si
evidenziano sia nella lingua utilizzata durante la cerimonie: Nagô, Ketu,
Dagomé o Dahomey, Ijêxa, Angolano, Congolese, Gêge (Ewe), sia nello stile dell'accompagnamento
musicale (alcuni suonatori percuotono i tamburi a mani nude, altri mediante
bacchette), sia nel nome delle divinità venerate, sia nei costumi rituali;
ovviamente, i praticanti che non hanno conoscenza dei loro luoghi d'origine si
sentiranno smarriti.
In Salvador de Bahia
(la città santa) è il
Candomblè Nagô e Ketu (d'origine Yoruba) a
dominare incontrastato.
Visto dall'esterno, il Candomblè baiano è segnato da alcune fasi e pratiche
caratteristiche:
1) l'accompagnamento ritmico musicale,
2) le tecniche d'iniziazione,
3) la "crisi di possesso" durante il rituale,
4) i differenti ruoli dei grandi iniziati nella cerimonia e nella vita
quotidiana,
5) l'organizzazione della sua micro-società, riflesso diretto della
gerarchia e dell'interazione tra le divinità africane. La
trance costituisce il momento più alto
della cerimonia, quello in cui la divinità discende nella testa dei suoi
"figli".
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